Prima di Robert Francis Prevost, altri 13 Papi hanno scelto il nome di Leone. Ecco la loro storia.
Leone XI - 232° Papa (1605)
Alessandro de' Medici nacque il 2 giugno 1535 a Firenze da Ottaviano de' Medici, Gonfaloniere di Giustizia della Repubblica di Firenze e Signore di Ottaiano, e Francesca Salviati, ultimo di 4 figli e unico maschio. La sua famiglia era un ramo collaterale dei Medici, che non solo governavano Firenze ma avevano appena espresso 2 Papi pressoché consecutivi: Leone X (1513-1521) e Clemente VII (1523-1534), morto da pochi mesi. Alessandro era nipote di Leone X sia da parte di padre che di madre e a nemmeno 10 anni d'età Alessandro rimase orfano del padre.
La madre Francesca lo destinò quindi a una carriera notarile, con l'obiettivo di renderlo il capofamiglia del ramo cadetto dei Medici, ma Alessandro sentì un sermone del frate domenicano Vincenzo Ercolani nella chiesa di San Marco a Firenze e, dopo quest'esperienza, decise di diventare sacerdote. Madre e zio lo affidarono quindi al Granduca Cosimo de' Medici, suo cugino di secondo grado, sperando che gli facesse cambiare idea. Nel 1560, a 15 anni, Alessandro accompagnò Cosimo in un viaggio a Roma, dove incontrò Filippo Neri, futuro santo, dalla cui esperienza fu molto colpito.
Tornato a Firenze, decise di studiare come voleva la madre, ma nel 1566, quando Francesca Salviati morì, decise di diventare sacerdote, venendo ordinato il 22 luglio 1567, a 22 anni, nel Duomo di Santa Maria del Fiore da Antonio Altoviti, arcivescovo di Firenze.
Alessandro inizialmente cercò di proseguire gli studi per dedicarsi all'insegnamento, con scarsi risultati. Nel 1569 venne quindi nominato dal Granduca Cosimo I ambasciatore di Toscana presso la Santa Sede e si trasferì quindi a Roma dal cugino Ferdinando de' Medici, figlio di Cosimo, più giovane di lui di ben 14 anni ma già cardinale (aveva ricevuto la porpora a soli 13 anni). Ferdinando, che diventerà poi Granduca di Toscana e lascerà la porpora per sposare Cristina di Lorena e dare una discendenza alla famiglia Medici (avrà 9 figli), lo presentò a Papa Pio V, che lo nominò protonotario apostolico.
Accadde che, presso Vitorchiano, nei pressi di Viterbo, le guardie papali arrestarono di un soldato di Arezzo che dichiarò di essere stato inviato da Cosimo I per assassinare il cardinale Alessandro Farnese, nipote di Papa Paolo III, con cui la famiglia Medici aveva un'accesa rivalità. Interrogato e torturato a Viterbo dallo stesso Farnese, il soldato confessò cose talmente incredibili (era stato inviato da solo ad assassinare un cardinale e aveva incontrato più volte il Granduca di persona) che Alessandro de' Medici convinse sia il Papa che il cardinale di trovarsi davanti a una montatura tesa a screditare Cosimo I. Non sappiamo se tale piano fosse vero o meno.
Alessandro si adoperò sempre in favore del Granducato, alleato della Francia e quindi nemico della Spagna. Il 12 agosto 1571 chiese ufficialmente a papa Pio V di annullare le nozze tra il Re Enrico III di Navarra, che si era convertito alle teorie ugonotte, e Margherita di Valois, figlia del cattolico Enrico II di Francia e di Caterina de' Medici e sua lontana parente. Pio V però non ritenne di annullare le nozze, ma sarebbe stata preferibile la conversione del Re e dell'ammiraglio Gaspar de Coligny, capo degli ugonotti. Nel 1571, però, la Lega Santa a guida spagnola sconfisse l'Impero Ottomano nella Battaglia di Lepanto e l'influenza del partito spagnolo crebbe considerevolmente a Roma.
Alessandro nel frattempo era diventato anche amico fraterno di Filippo Neri, fino ad essere abituale ospite dell'Oratorio, anche se il futuro santo era filofrancese e apprezzasse Girolamo Savonarola. Alessandro de' Medici ebbe anche l'onore di posare la prima pietra della Chiesa Nuova nel 1575, che avrebbe poi consacrato nel 1599. Successivamente, con il cardinale Federico Borromeo, farà riesumare le spoglie di Filippo Neri per traslarle nella tomba comune della sua Congregazione, infilando alla mano del cadavere un suo anello con zaffiro.
Pio V morì il 1° maggio 1572, a 68 anni, per una grave ipertrofia prostatica, dopo poco più di 6 anni di pontificato. Cosimo I volle quindi inviare a due emissari a Roma, Bartolomeo Concini e Belisario Vinta, per influenzare i cardinali, per promuovere l'elezione di Ugo Boncompagni e boicottare Alessandro Farnese. Boncompagni venne in effetti eletto Papa con il nome di Gregorio XIII. Siccome Ferdinando de' Medici era stato un suo grande elettore, Alessandro divenne un assiduo frequentatore della corte pontificia, con l'obiettivo di ottenere un incarico più prestigioso e abbandonare quello di ambasciatore, in cui si riteneva poco più che una marionetta nelle mani del cugino.
Gregorio XIII, il 9 marzo 1573, a 36 anni, Alessandro de' Medici venne quindi nominato vescovo di Pistoia, nel territorio della sua famiglia, nonostante il cugino Ferdinando cercò di dissuaderlo, sostenendo che era un incarico poco importante. Pur vescovo, Alessandro continuò a risiedere a Roma e nominò suo legato nella città il cugino Bastiano de' Medici.
Il 28 dicembre 1573 moriva improvvisamente a 52 anni Antonio Altoviti, arcivescovo di Firenze per gli ultimi 25 anni. Era stato nominato da Papa Paolo III, ostile ai Medici, che aveva scelto un esponente di una famiglia rivale a quella granducale, tanto che inizialmente Cosimo I gli aveva vietato l'ingresso in città. Negli anni, a causa di queste frizioni, non era mai diventato cardinale.
Il 15 gennaio 1574, su proposta di Cosimo I, Alessandro de' Medici, a 38 anni, venne quindi nominato arcivescovo di Firenze, attirandosi l'ostilità del cugino Ferdinando, che il padre aveva ignorato pur essendo già cardinale. Alessandro scelse di restare a Roma, incaricando anche qui del governo della diocesi il cugino Bastiano de' Medici.
Il 21 aprile successivo moriva a 55 anni Cosimo I, che regnava da 37 anni, e gli successe il figlio 33enne Francesco I, con cui Alessandro andava molto d'accordo, al contrario del fratello Ferdinando. Il 12 dicembre 1583, a 48 anni, Alessandro de' Medici viene quindi creato cardinale presbitero dei Santi Quirico e Giulitta da Gregorio XIII.
Obbligato dalle disposizioni del Concilio di Trento e rimproverato da San Carlo Borromeo nel 1582, Alessandro fu costretto a tornare a Firenze ad amministrare l'arcidiocesi. Tuttavia, la sera dell'8 ottobre 1587, dopo una giornata trascorsa in battuta di caccia insieme al fratello Ferdinando, Francesco I e la moglie Bianca cenarono presso la Villa di Poggio a Caiano, ma si sentirono male e si misero presto a letto accusando febbre elevata e intermittente con episodi di vomito. Dopo 11 giorni morirono a poche ore di distanza, senza che l'uno sapesse dell'altra. Inizialmente attribuita a malaria, nel 2006 verrà chiarito che entrambi morirono per avvelenamento da arsenico, probabilmente orchestrato dal fratello Ferdinando, che salì al trono granducale (senza rinunciare alla porpora da cardinale) prima che Francesco facesse in tempo a generare figli maschi.
Alessandro partecipò quindi in rapida successione a 3 Conclavi nel giro di appena un anno, tra il 1590 e il 1591, che elessero Urbano VII, Gregorio XIV e Innocenzo IX. In quest'ultimo Conclave la fazione filofrancese si dichiarò disposta ad eleggerlo Papa, incontrando però un netto rifiuto. Anzi, visto che la fazione spagnola gli opponeva il cardinale Giovanni Antonio Facchinetti, Alessandro iniziò a votarlo e appoggiarlo pubblicamente, causando le ire di Ferdinando I, che sperava di avere un nuovo Papa in famiglia. La celebre risposta alla lettera da parte del cardinale al Granduca ("Non sono il tuo schiavo") segnerà un punto di non ritorno nel loro rapporto, tanto che tornò a vivere a Roma. Il Conclave aveva eletto Papa Ippolito Aldobrandini come Clemente VIII che, per ingraziarselo, visto il suo prestigio lo ricoprì di incarichi e onori.
Volgeva intanto al termine la guerra di religione in Francia: Enrico IV si era convertito al cattolicesimo il 25 luglio 1593 durante una solenne cerimonia nell'abbazia di Saint-Denis e Alessandro, spinto da Ferdinando e da Filippo Neri, cercò di indurre Clemente VIII a ritirare la scomunica verso il Re. Il Papa esitava per una possibile reazione spagnola, ma alla fine il cardinale riuscì a convincerlo: il 17 settembre 1595, con una cerimonia fastosa commemorata anche da una colonna eretta presso la chiesa di Sant'Antonio Abate all'Esquilino (oggi dietro Santa Maria Maggiore), Clemente VIII assolse Enrico IV, incurante delle proteste spagnole e di quelle dei gesuiti, a cui il Re comunque non aveva concesso di rimettere piede nel regno.
Con questi pregressi, Alessandro de' Medici venne ritenuto l'uomo più adatto, sia per Clemente VIII (che lo preferì addirittura a suo nipote, il cardinale Alessandro Aldobrandini) sia per Enrico IV, ad accompagnare come legato il nunzio apostolico Francesco Gonzaga in un'importante missione diplomatica e religiosa: il Papa voleva portare alla pace Spagna e Francia, cosicché potessero assieme combattere i turchi, e regolarizzare la situazione dell'episcopato francese dopo anni di guerre religiose e sedi episcopali vacanti.
Il 3 aprile 1596, a 61 anni, Alessandro de' Medici venne ufficialmente nominato legato in Francia. Passato per Firenze e Torino, dove fu ospite di Carlo Emanuele I di Savoia, giunse a Montlhery dove incontrò re Enrico IV e il 21 luglio entrò a Parigi. Il 19 agosto Enrico IV firmava solennemente il documento con cui si riconciliava con la Chiesa cattolica. Alessandro seguì il Re e la sua corte fino a Rouen, che lasciò per dirigersi in Piccardia, dove soggiornò prima a San Quintino e infine a Vervins, dove si sarebbe tenuta la conferenza di pace tra Francia e Spagna. Alessandro presiedette quindi la conferenza di pace, che si concluse con un grande risultato: Filippo II riconobbe Enrico IV di Navarra, ora cattolico, come legittimo Re di Francia e ritirò le proprie truppe dal suolo francese. Alessandro tornò quindi a Parigi con tutti gli onori, accompagnato da una lettera all'ambasciatore del Granduca di Toscana con cui Enrico IV enumerò le sue brillanti qualità e si diceva totalmente soddisfatto del risultato raggiunto.
Alessandro iniziò quindi a chiedere al Re il ritorno dei gesuiti in Francia e divenne ben presto ostile alla favorita del Re e madre dei suoi figli, Gabrielle d'Estrées, visto che il cardinale stava cercando di convincere Enrico IV a divorziare da Margherita di Valois, sua lontana parente ma sterile, per sposare Maria de' Medici, figlia del defunto Granduca di Toscana Francesco I, sorella del Granduca Ferdinando I suo cugino.
Il 1º settembre Alessandro venne quindi cortesemente congedato dalla Francia e tornò in Italia, incontrando a Ferrara Clemente VIII il 9 novembre 1598, che lo nominò Segretario della Congregazione per i Vescovi.
Nel suo nuovo incarico, procedette immediatamente ad aprire il processo di annullamento del matrimonio di Enrico IV con Margherita di Valois. Nel marzo 1599 Enrico IV, ottenuto l'annullamento delle nozze, diede un anello di fidanzamento all'amante Gabrielle, che disse: "Solo Dio o la morte del Re potrebbero porre fine alla mia buona sorte". Un mese dopo, incinta al nono mese, dopo un pranzo a casa del banchiere Sébastien Zamet, tuttavia, Gabrielle si sentì male per un attacco di eclampsia, che le causò un parto anticipato di un bimbo morto. Enrico IV si precipitò a Parigi dal Castello di Fontainebleau ma, quando arrivò, Gabrielle era già morta per le complicazioni, ad appena 28 anni.
Alessandro riprese quindi gli sforzi per far sposare il Re con la cugina, riuscendo nel suo intento: le nozze vennero celebrate il 5 ottobre 1602 a Firenze per procura (il Re nominò un delegato, Roger de Bellegarde). Ferdinando I, creditore del Re di Francia, concesse alla sorella una ricca dote di 600mila scudi d'oro, parte della quale liberava la Francia dal proprio precedente debito. La coppia chiese al cardinale de' Medici di battezzare il loro primogenito Luigi (futuro Re Luigi XIII), onore che il cardinale rifiutò per non mettersi troppo in cattiva luce con la famiglia di Papa regnante Clemente VIII, filospagnola.
Alessandro aveva infatti bisogno di mantenere un profilo equilibrato se voleva essere il prossimo Papa, ambizione di cui ormai non faceva più mistero nonostante l'età avanzata. Il 30 agosto 1600, a 65 anni, venne creato cardinale vescovo di Albano e nel 1602 di Palestrina. Papa Clemente VII era infatti sofferente di gotta da anni e de' Medici si mosse in largo anticipo per assicurarsi l'appoggio delle grandi potenze. Nel 1604 Enrico IV gli assicurò l'appoggio dei cardinali francesi e lo stesso fece il nipote del Papa Pietro Aldobrandini.
Il 3 marzo 1605 Clemente VIII infine morì, a 69 anni e dopo 13 di pontificato. Fin da subito i favoriti furono Alessandro de' Medici e Cesare Baronio, entrambi favoriti dalla Francia e avversati dalla Spagna. Baronio ricevette 37 voti (sui 40 necessari all'elezione) al primo scrutinio, sfiorando l'elezione. La fazione spagnola si oppose quindi con forza a un nemico personale del Re Filippo III, creando un clima di forte ostilità verso Baronio, tanto da far gridare allo scandalo lo stimato Roberto Bellarmino. L'intera compagine degli italiani ascoltò allora i consigli di Pietro Aldobrandini e passò con il partito filofrancese, che però preferì cambiare candidato proponendo Alessandro de' Medici.
Il 1° aprile 1605, dopo un interminabile scrutinio durato fino a notte, Alessandro de' Medici venne eletto Papa benché avesse quasi 70 anni e assunse il assunse il nome di Leone XI, in ossequio a Leone X, primo Pontefice della famiglia Medici. Leone XI fu consacrato nel Palazzo Apostolico il 10 aprile, domenica di Pasqua, dal cardinale Protodiacono Francesco Sforza.
In pessimi rapporti con il ramo principale della famiglia, scelse una squadra di governo di soli fiorentini ma vietò al resto della famiglia Medici di presenziare alla sua presa di possesso del Laterano. Nel suo primo giorno da Papa, non ancora consacrato, scrisse all'imperatore Rodolfo II d'Asburgo la propria intenzione di appoggiare l'armata imperiale in Ungheria contro i turchi. Abolì poi l'imposta che gravava sui cittadini romani per il mantenimento delle truppe pontificie ed emise un'ordinanza per istituire una Congregazione che seguisse la costruzione della Basilica di San Pietro, l'odierna Fabbrica di San Pietro.
Il 17 aprile 1605 Leone XI prese possesso di San Giovanni in Laterano, con una lunghissima processione composta, tra l'altro, da 60 nobili romani e 40 fiorentini. Sul Ponte Sant'Angelo era anche stato costruito un piccolo arco di trionfo posticcio, progettato e decorato da Pietro Strozzi. Durante la cerimonia, benché in primavera, prese freddo e già la sera stessa venne colpito da un violento attacco di febbre.
Il 27 aprile 1605, a 69 anni, Leone XI moriva dopo appena 26 giorni di pontificato. Il suo è il 9° pontificato più breve della storia, l'ultimo a durare meno di un mese. Il 16 maggio successivo verrà eletto come suo successore Camillo Borghese, che assumerà il nome di Paolo V.
Leone XII - 252° Papa (1823 - 1829)
Annibale della Genga (nome completo Annibale Francesco Clemente Melchiorre Girolamo Nicola) nacque il 2 agosto 1760 dal conte Ilario della Genga, appartenente alla famiglia dei Conti della Genga, dell'omonimo borgo delle Marche (all'epoca in provincia di Macerata, poi dal 1860 nella provincia di Ancona). Sua madre era la Contessa Maria Luisa Periberti di Fabriano e Annibale era il 6° di 10 figli.
Annibale manifestò fin da molto giovane una decisa vocazione al sacerdozi. Studiò quindi teologia al Collegio Campana in Osimo e a 18 anni venne inviato al Collegio Piceno di Roma. Nel 1783 venne ammesso all'Accademia dei Nobili Ecclesiastici, in cui si formavano nunzi apostolici o prelati destinati alle più alte cariche, tutti rigorosamente di origine nobiliare. Pochi mesi dopo, il 14 giugno 1783, a 23 anni, venne ordinato sacerdote.
Della Genga si mise quindi al servizio della Curia Romana, facendosi notare nel 1790 per un sermone pronunciato in pubblico in ricordo dell'Imperatore Giuseppe II d'Asburgo, morto il 20 febbraio di tubercolosi. La svolta fu nel 1792 quando Papa Pio VI lo nominò suo segretario particolare; pochi mesi dopo lo elevò arcivescovo a soli 32 anni, venendo consacrato il 24 febbraio dal cardinale inglese Enrico Benedetto Stuart, Arciprete della Basilica di San Pietro, nella cattedrale di Frascati. Pio VI lo nominò quindi, giovanissimo, nunzio apostolico in Svizzera, con residenza a Lucerna, diventando dopo poco tempo nunzio apostolico in Germania, con sede a Colonia. Secondo alcune fonti, in Germania, avrebbe avuto tre figli illegittimi.
Nel 1798 Napoleone invadeva lo Stato Pontificio, che cessava di esistere, e deportava Pio VI. Anche Della Genga venne catturato dai francesi, riportato in Italia e tenuto prigioniero nell'abbazia di Monticelli, non lontano dal suo paese natale di Genga. Dopo la Restaurazione, nel 1814 venne scelto da Pio VII come latore delle sue congratulazioni a Luigi XVIII di Francia dopo la sua restaurazione sul trono francese e inviato alla Conferenza di pace di Parigi, visto che il Segretario di Stato, cardinale Ercole Consalvi, si trovava ancora in esilio.
L'8 marzo 1816, a 55 anni, Della Genga viene creato cardinale presbitero di Santa Maria in Trastevere da Pio VII e richiamato a Roma come Arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore. Contemporaneamente viene anche nominato vescovo di Senigallia, senza l'obbligo di residenza, ma si dimise da questa carica dopo appena 6 mesi, ufficialmente per motivi di salute, senza aver mai preso possesso della diocesi.
Il 1º maggio 1820, a 64 anni, a causa di problemi gastrici moriva a Monteflavio, nella diocesi di Sabina, il cardinale Lorenzo Litta Visconti Arese, Vicario per Roma, e pochi giorni dopo Pio VII scelse il 60enne Della Genga per sostituirlo.
Il 7 luglio 1823 Pio VII si ruppe una gamba in seguito a una grave caduta e le complicazioni che ne derivarono lo portarono rapidamente alla fine. Il 16 luglio un incendio devastò la Basilica di San Paolo fuori le Mura, della quale era stato abate, ma non gli fu detto nulla per non aggravare la sua agonia. Pio VII morì il 20 agosto 1823 nel Palazzo del Quirinale all'età di 81 anni.
Appena morto il papa, il cardinale Decano Giulio Maria della Somaglia fece sapere di essere in possesso di alcuni plichi del Papa sigiliati, con l'ordine tassativo di aprirli subito dopo la sua morte. Aperti, si vide che erano stati scritti a Fontainebleau durante l'esilio napoleonico del 1811-14: Pio VII, come il predecessore Pio VI, ordinava che i cardinali si riunissero subito dopo la sua morte, e, derogando alla legge, eleggessero un nuovo Papa in tempi brevissimi, anche immediatamente.
Il Segretario del Collegio Cardinalizio Raffaele Mazzio presentò allora un un altro documento firmato da Pio VII nel 1821, in cui il Papa, anche se non più prigioniero, ordinava che si procedesse istantaneamente alla scelta del successore, possibilmente per acclamazione alla presenza del suo cadavere ancora tiepido, e che non si perdesse tempo con esequie e sepoltura. L'elezione doveva avvenire in segreto e senza attendere i cardinali fuori Roma né avvisare le corti estere. I cardinali, tuttavia, votarono a maggioranza dichiarando che le circostanze in cui erano stati scritti quei documenti non erano più applicabili e disapplicarono i decreti papali, seguendo la procedura usuale.
Alla morte di Pio VII, dopo gli sconvolgimenti dovuti alle prigionie sue e del predecessore e la fine dell'era napoleonica, si prospettò un Conclave dall’esito imprevedibile, agitato da forti tensioni interne e insidiato dalla solita interferenza delle Corone europee.
La stessa sede tradizionale del Conclave, il Palazzo Apostolico, era messa in discussione: erano trascorsi ben 48 anni dall’ultimo conclave tenutosi a Roma, che nel 1775 aveva eletto Pio VI. Furono proposti in alternativa la Chiesa Nuova, Santa Maria sopra Minerva o Sant’Agostino e la Sacrestia di San Pietro. Oltre all'insalubre aria del Vaticano, vicino alle sponde paludose del Tevere, altre considerazioni di ordine politico facevano propendere per una sede più centrale, dove fosse più facile il controllo dell’ordine pubblico. Infatti nel 1820/21 a Roma, come in altre capitali europee, erano scoppiate sollevazioni popolari e l'incendio della Basilica di San Paolo fuori le mura era stato attribuito dall’opinione pubblica romana ai rivoluzionari.
Alla fine la scelta ricadde sul Palazzo del Quirinale, ormai la residenza preferita dai pontefici rispetto al Vaticano. Il Conclave prese il via il 2 settembre: le persiane del Palazzo furono serrate, la finestra della Loggia delle Benedizioni venne murata, il portone principale restò aperto ma presidiato da soldati e le due estremità di via Pia (oggi via del Quirinale) vennero chiuse da cancelli di legno. Con tramezzi di legno furono anche costruite le celle dove avrebbero vissuto i cardinali durante il Conclave, segregati dalle interferenze esterne ma intrappolati in strette stanze nella torrida estate romana. Anche i successivi 3 Conclavi si svolgeranno al Quirinale, fino alla presa di Roma nel 1870, quando Pio XI lasciò il Quirinale e si ritirò definitivamente nel Palazzo Apostolico.
Anche il cerimoniale del Conclave venne riadattato, visto che non era rimasto alcun superstite dell’ultimo Conclave romano. A causa del caldo della stagione estiva e del fumo delle stufe dove si bruciavano le schede, era comunque necessario tenere aperte alcune le finestre. Così, una notte un barbagianni entrò nelle gallerie del Palazzo seminando il panico tra i cardinali, definito satiricamente “il sinistro augello notturno” che, al posto colomba dello Spirito Santo, personificava le interferenze esterne sul Conclave.
Solo 2 cardinali, il Decano Giulio Maria della Somaglia e Fabrizio Ruffo, avevano partecipato al Conclave di Venezia del 1800, che aveva eletto Pio VII, mentre gli altri 47 non avevano alcuna esperienza di un Conclave.
Il Collegio Cardinalizio era diviso in due tendenze: una parte desiderava una chiesa fortemente accentratrice e opposta alla riforme nate dalla Rivoluzione, mentre l'altra preferiva favorire un approccio progressista e aperto. Il favorito di questo secondo gruppo era il cardinale Segretario di Stato Ercole Consalvi, giudicato però da molti troppo potente e influente per essere eletto. Altri candidati erano Antonio Gabriele Severoli, considerato contrario alla politica di Metternich, e il Penitenziere Maggiore Francesco Saverio Castiglioni, strettamente alleato dell'Impero d'Austria.
Il 14 settembre l'ambasciatore d'Austria venne ricevuto dai cardinali e dichiarò, come candidato di compromesso, che il cardinale Giuseppe Albani, Prefetto della Congregazione del Buon Governo, sarebbe stato un gradito candidato alla corte asburgica. Il cardinale Antonio Gabriele Severoli arrivò a soli 7 voti dall'elezione, ma a quel punto Albani si alzò in piedi e lesse un foglio che teneva in tasca: "Nella qualità di ambasciatore straordinario di sua maestà imperiale e reale presso il Sacro Collegio riunito in conclave, e in virtù di istruzioni che mi sono state date, compio il penoso dovere di dichiarare che Sua Maestà Francesco I d'Austria non può accettare per Sommo Pontefice il cardinale Severoli, e gli dà l'esclusiva formale".
Il giorno successivo venne ricevuto anche l'ambasciatore francese, il duca di Laval, che riferì che il Re si esprimeva non favorevole a qualsiasi candidato conservatore, tra cui Annibale Della Genga. La fazione di Severoli, allora, chiese al cardinale di indicare loro un'alternativa da sostenere ed egli indicò Della Genga, mentre la fazione favorevole a Consalvi puntò su Castiglioni.
Caduto anche l'ultimo tentativo del 79enne Decano Giulio Maria della Somaglia, il 28 settembre 1823 Annibale Della Genga, a 63 anni, ottenne 34 voti e venne eletto Papa scegliendo il nome di Leone XII. Anche se osteggiato dalla Francia, la sua elezione venne agevolata anche dal suo carattere compromissorio e dalle cattive condizioni di salute, che facevano ritenere che avesse poco da vivere.
In politica estera, Leone XII scelse come Segretario di Stato Tommaso Bernetti, che continuò la politica concordataria del predecessore e riuscì a stipulare diversi accordi e trattati particolarmente favorevoli allo Stato della Chiesa. Della Genga si dimostrò una persona fondamentalmente frugale e questa sua indole si rifletté nella sua amministrazione, che riuscì a fare economia nella gestione della giustizia, a ridurre le imposte ed anche a trovare le risorse per l'esecuzione di alcuni importanti lavori pubblici. Si impegnò alla riforma dell'amministrazione dello Stato pontificio, portando a termine la riforma tributaria.
L'evento centrale del pontificato di Leone XII fu la celebrazione del Giubileo nel 1825, l’unico regolarmente celebrato in tutto il secolo: nel 1800 Roma era occupata dalle truppe francesi, nel 1850 sarà occupata dalla Repubblica romana e nel 1875 verrà celebrato all’interno del Vaticano dopo la presa di Roma.
Leone XII indisse il Giubileo come una sfida per vedere come avrebbe risposto il mondo cattolico all’invito della Chiesa, in un contesto culturale e spirituale in profonda trasformazione. Molti infatti si opponevano al Giubileo, compresi i sovrani europei, preoccupati che il grande movimento di pellegrini potesse favorire la circolazione di idee e di agenti rivoluzionari, pericolosi per l’ordine pubblico. La Curia aggiungeva poi preoccupazioni per il grande impegno finanziario richiesto dall’accoglienza dei fedeli, che le casse dello Stato Pontificio, esauste per le vicende napoleoniche, avrebbero faticato a sostenere.
Il Giubileo del 1825 fu attentamente preparato sul piano spirituale dal papa che volle curare personalmente l’organizzazione dell’evento, preceduto da missioni, tenute da religiosi predicatori nell’agosto 1824 nelle principali piazze di Roma con grande afflusso del popolo, e da provvedimenti che regolavano le cerimonie e l’impatto sociale dell’evento. Vennero proibiti gli spettacoli teatrali, i balli, e limitati gli orari delle osterie mentre si provvedeva a restaurare le chiese e ad attrezzare gli ospizi per accogliere i pellegrini. Le confraternite romane, in particolare l’Arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini, si adoperarono per assistere i forestieri che arrivavano a Roma, procurando vitto e alloggio ed elargendo elemosine ai bisognosi. Sull’esempio di Leone XII, che appena eletto aveva voluto ripristinare il pranzo offerto ai pellegrini poveri e servito dal Papa in prima persona vestito con il grembiule, tutta la società romana fu coinvolta nell’accoglienza dei forestieri organizzata dalle confraternite, anche le dame dell’aristocrazia.
Il Giubileo del 1825 avrebbe dovuto rappresentare nelle intenzioni di Leone XII una ideale riconciliazione collettiva dopo le vicende napoleoniche. In realtà all’appello del pontefice rispose un concorso limitato di adesioni, in linea con la tendenza di decrescita avviata già nel secolo precedente. Inoltre, l’afflusso preponderante dei pellegrini provenisse per lo più dall'Italia e solo in misura irrisoria dal resto dell’Europa e del mondo. Ciononostante, la celebrazione del Giubileo nel 1825 segnò un importante momento di continuità nella millenaria tradizione della Chiesa, riconfermata poi nel Giubileo del 1900, quando Leone XIII nella bolla di indizione si richiamerà proprio a quello precedente, celebrato 75 anni prima da Leone XII.
In politica interna, Leone XII si distinse per la durezza con cui affrontò la Carboneria. Durante il Giubileo del 1825, infatti, furono ghigliottinati pubblicamente in Piazza del Popolo a Roma i due carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari.
Leone XII proibì le società bibliche, di stampo protestante e finanziate spesso dalla massoneria e, fortemente influenzato dai gesuiti, riorganizzò tutto il sistema scolastico, Riordinando le università del suo Stato in due classi: alla prima assegnò quelle di Roma e Bologna, con 38 cattedre; alla seconda quelle di Ferrara, Perugia, Camerino, Macerata e Fermo, con 17 cattedre e istituì la Congregazione degli Studi per controllarne l'operato. Ordinò anche di concedere maggiore spazio all'istruzione scientifica con l'istituzione della laurea in farmacia.
Vari testi attribuiscono a Leone XII il divieto di vaccinazione contro il vaiolo. In particolare Benedetto Croce scrisse: "Il Papa che similmente abolì codici e tribunali istituiti dai francesi volle tornare agli ordini del vecchio tempo, e rinchiuse daccapo i giudei nei ghetti e li astrinse ad assistere a pratiche di una religione che non era la loro, e perfino proibì l’innesto del vaiuolo che mischiava le linfe delle bestie con quelle degli uomini: vani sforzi che poi cedettero dal più al meno alle necessità dei tempi".
Tuttavia, nessun documento ufficiale riporta tali provvedimenti. Nel 1824 in effetti Leone XII abolì l'obbligatorietà della vaccinazione, invisa a larghi strati della popolazione per la sua supposta pericolosità, sebbene fosse stata resa obbligatoria nello Stato Pontificio, dopo lo scoppio di un'epidemia di vaiolo, il 20 giugno 1822 da Pio VII per bocca del conte Monaldo Leopardi, Gonfaloniere della Chiesa e padre di Giacomo Leopardi, pur mantenendone l'obbligo della gratuità di somministrazione.
Comunque, la caduta dell'obbligo in generale portò la popolazione, specie nelle campagne, a trascurare la vaccinazione, nonostante che la Commissione Provinciale di Sanità mettesse a disposizione il vaccino a chi ne avesse fatto richiesta e nonostante l'impegno dei medici. Così una successiva epidemia, avvenuta nel 1828, causò 553 morti solamente nella città di Bologna e una terza epidemia si abbatté sullo Stato Pontificio nel 1835. Va anche notato che la vaccinazione all'epoca non era obbligatoria in molti Stati europei, compreso il Regno di Sardegna, in cui lo divenne obbligatoria solo nel 1859, l'Inghilterra offrì gratuitamente la vaccinazione nel 1840 e la rese obbligatoria nel 1853.
Leone XII nel 1824 aveva anche insignito dell'Ordine Equestre dello Sperone d'Oro Luigi Sacco come ringraziamento per l'invio di 108 copie del suo libro sulla vaccinazione che furono distribuiti negli uffici di sanità dello Stato Pontificio.
Leone XII, eletto già anziano per l'epoca, aveva ricevuto durante tutta la sua vita il sacramento dell'estrema unzione ben 17 volte, di cui una dopo le fatiche dell'incoronazione. Il Papa, eletto da appena 7 giorni, alla sera era caduto malato e in poche settimane le sue condizioni peggiorarono. Dopo due mesi, ormai dato per morente, la vigilia di Natale, guarì improvvisamente e si gridò al miracolo.
Ricevuto in udienza nell'ottobre 1828, François de Chateaubriand, ministro degli Esteri di Francia, a cui il Papa lascerà in eredità il suo grosso gatto, lo aveva trovato sereno, malgrado dai lineamenti smunti trasparisse una grande sofferenza. Nonostante questo, aveva organizzato finte battute di caccia nei Giardini Vaticani, sua grande passione, sparando anche qualche colpo di fucile.
Il 10 febbraio 1829, verosimilmente per un'infezione causata da un intervento chirurgico, Leone XII muore a 69 anni, dopo 5 di pontificato. La sua impopolarità verrà immortalata da un epitaffio sulla statua di Pasquino: "Qui della Genga giace, per sua e nostra pace". Prima del trapasso aveva chiesto che la sua bara fosse tumulata nella cripta dell'altare di San Leone Magno nella Basilica di San Pietro, cosa che, completato il sepolcro, avvenne il 5 dicembre 1830.
Il 31 marzo 1829 verrà poi eletto Papa Francesco Saverio Castiglioni, suo antico rivale nel Conclave di 6 anni prima, che prenderà il nome di Pio VIII.
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