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I Papi Leone - 7

Prima di Robert Francis Prevost, altri 13 Papi hanno scelto il nome di Leone. Ecco la loro storia.

Leone XIII - 256° Papa (1878 - 1903)

L'ultimo Leone è Vincenzo Gioacchino Pecci, che nacque il 2 marzo 1810 a Palazzo Pecci di Carpineto Romano (che a quel tempo era territorio francese) da Domenico Lodovico Pecci e Anna Francesca Prosperi Buzi. Era il sesto di sette figli. La famiglia Pecci, di origine senese, si era messa al servizio della Chiesa da generazioni: il padre di Vincenzo, Domenico, era commissario di guerra e colonnello dell'esercito pontificio.
A soli 8 anni Vincenzo, insieme al fratello maggiore Giuseppe, entrambi intenzionati a diventare sacerdoti, entrarono nel Collegio dei Gesuiti di Viterbo dove rimasero 6 anni. Finiti gli studi a Viterbo, nel 1824, morì la madre Anna Francesca e il padre Domenico si trasferì da Carpineto Romano a Roma, seguito dai suoi figli. Vincenzo poté così studiare teologia al Collegio Romano, dove divenne maestro assistente, e quando compì 18 anni, nel 1828, Vincenzo scelse definitivamente la strada del sacerdozio secolare, mentre il fratello Giuseppe aveva deciso di entrare nella Società di Gesù
. Nel 1835 ottenne anche la laurea in utroque iure all'Università La Sapienza.
Non era quindi ancora sacerdote quando scelse di entrare nell'Accademia dei Nobili per formarsi in vista del servizio diplomatico e amministrativo pontificio nel 1832. Al termine degli studi, il 31 dicembre 1837, a 27 anni, venne ordinato sacerdote dal cardinale gesuita Carlo Odescalchi, arcivescovo di Ferrara; celebrò la sua prima messa nella chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, assistito dal fratello Giuseppe, ordinato sacerdote solo 10 mesi prima.
Gregorio XVI lo nominò quindi delegato papale a Benevento e nel 1841 prima a Spoleto e poi a Perugia. In questa veste, Pecci realizzò una nuova e ampia strada che consentiva di salire in città, inaugurata in occasione della visita a Perugia di Gregorio XVI il 25 settembre 1841, che prese il nome di Gregoriana.
Il 27 gennaio 1843, a soli 32 anni, Gregorio XVI lo elevò arcivescovo. Venne consacrato nella chiesa di San Lorenzo in Panisperna il 19 febbraio successivo dal cardinale Luigi Lambruschini, Segretario di Stato, che gli affidò l'incarico di nunzio apostolico in Belgio, dove prese il posto dell'arcivescovo Raffaele Fornari, nominato nunzio apostolico in Francia. Quest'esperienza diplomatica lasciò a Pecci una particolare predilezione per il mondo francofono, la cui stampa egli leggeva regolarmente. Sostenne l'episcopato belga nel suo conflitto con la Corona sull'istruzione giovanile, se compito dello Stato o della Chiesa, a tal punto che il Re Leopoldo I chiese che venisse allontanato. Il 19 gennaio 1846, a 35 anni, venne quindi richiamato in Italia e nominato vescovo di Perugia (con il titolo personale di arcivescovo), dove era morto da poco il vescovo Carlo Filesio Cittadini.

Leone XIII, al secolo Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, fu Papa dal 20 febbraio 1878 alla morte, avvenuta il 20 luglio 1903. È tuttora il Papa più anziano regnante della storia con i suoi 93 anni e 4 mesi, mentre il suo pontificato per durata (25 anni e 4 mesi) all'epoca era il secondo, dietro solo all'immediato predecessore Pio IX (31 anni e 7 mesi), superato poi da Giovanni Paolo II (26 anni e 5 mesi)


Il 1° giugno successivo Gregorio XVI moriva  a 80 anni di erisipela, sostituito dal giovane Giovanni Maria Mastai Ferretti, che aveva preso il nome di Pio IX. Durante il suo pontificato, Pecci non riuscì mai ad andare veramente d'accordo con il nuovo Segretario di Stato Giacomo Antonelli, il quale si preoccupò che Pecci rimanesse sempre nella modesta arcidiocesi di Perugia, senza mai essere promosso né chiamato in Vaticano. Ciononostante, il 19 dicembre 1853, a 43 anni, Vincenzo Pecci venne creato cardinale presbitero di San Crisogono da Pio IX, come di prassi per la sede umbra.
Nonostante i difficili rapporti con il nuovo Stato italiano, Pecci realizzerà nel territorio di Perugia oltre 50 chiese, dette Leonine, e affrontare la nascita di molti ambienti ostili alla Chiesa: iniziarono a sorgere nuclei massonici, gruppi liberali favorevoli al regime costituzionale e all'unificazione italiana, associazioni mazziniane e anticlericali. Pecci, per evitare di esasperare i toni, scelse di evitare qualunque commento politico ma di occuparsi solo dei bisogni religiosi dei fedeli. Nel 1853 denunciò l'"indifferentismo nelle cose religiose e negl'interessi spirituali" dei suoi fedeli, l'"inosservanza dei giorni festivi", la "nausea ed infrequenza ai Sacramenti", la "licenza del vivere e immoralità".
Per porre rimedio a questi problemi si concentrò sull'adeguata preparazione dei sacerdoti e stabilì che in seminario 
non andassero insegnate solo tematiche religiose, ma anche scienza, storia e filosofia. Pecci dovette anche far fronte all'inefficienza e alla corruzione di cui si resero protagonisti i Delegati Pontifici che si avvicendarono nell'amministrazione della città (ben 8 delegati in 14 anni), la maggior parte dei quali inadeguati nell'amministrazione: "Una serie di delegati pontifici l'un più dell'altro di cortissimo intelletto, sospettosi di tutto e di tutti, noncuranti all'estremo del Vescovo e dei suoi avvisi". Pecci arrivò a scrivere al Segretario di Stato Antonelli aspre lettere di denuncia circa le mancanze amministrative, che finivano per consolidare le correnti liberali e massoniche e l'adesione alla causa nazionale e alla politica del Piemonte.
La situazione aveva raggiunto un livello tale che il 14 giugno 1859 i liberali, sostenuti da gran parte della popolazione studentesca, si sollevarono contro le autorità pontificie, dando vita ad un Governo provvisorio. Le truppe pontificie, riorganizzatesi, riconquistarono la città dopo una settimana di violenti scontri che causarono una trentina di morti. Pecci, soddisfatto per il ritorno del governo pontificio, lamentò comunque severità di alcuni provvedimenti presi, soprattutto la chiusura dell'Università per punire gli studenti che parteciparono all'insurrezione. Cercò invano di ottenere un atteggiamento più indulgente da Roma, tenendo conto che la causa dell'insurrezione andava ricercata nella cattiva amministrazione della città. Dopo appena un anno e mezzo, il 14 settembre 1860, l'esercito del Regno di Sardegna, guidato dal generale Fanti, occuperà Perugia e il plebiscito del 4 novembre successivo si pronunciò a favore dell'annessione al Regno d'Italia.
Riguardo alla questione italiana, Pecci si mantenne prudente, ma su una posizione conservatrice: riteneva infatti che il potere temporale fosse un'esigenza necessaria per consentire alla Chiesa il libero esercizio della sua funzione spirituale. A tal proposito, nel 1860 scrisse una lettera pastorale dal titolo Il dominio temporale della Santa Sede", in cui disapprovava l'idea di voler fare "suddito di una potenza terrena il Sommo Sacerdote della Chiesa cattolica". Pochi mesi dopo, quando il ministro dell'Interno Marco Minghetti invitò i vescovi italiani a manifestare la propria adesione al nuovo Stato, il cardinale Pecci indirizzò, a nome di tutto l'episcopato umbro, una lettera a Pio IX per riaffermare l'esigenza per la Chiesa cattolica dell'esercizio del potere temporale, scrivendo anche a Vittorio Emanuele II per protestare contro l'introduzione anche in Umbria del matrimonio civile. Queste proteste non furono mai poste con toni particolarmente aspri o estremi e il suo comportamento non fu mai provocatorio ma molto equilibrato e moderato, tanto che, quando il Re si recò in visita a Perugia il 30 gennaio 1869 il cardinal Pecci gli inviò una lettera nella quale affermava che "non avrebbe esitato di porgere senza indugio un riverente omaggio" alla persona del Re, se non lo avessero trattenuto "le attuali condizioni e attinenze fra Chiesa e Governo" e "la sua vacillante salute". Non mancava di manifestare, comunque, il suo "profondo ossequio" al sovrano.
Di Pecci, il Re invece scriveva: "È un uomo di un valore indiscutibile, di una grande forza di volontà e di una rara severità nell'esercizio delle sue funzioni", aggiungendo che si trattava di "uno di quei preti che si devono stimare ed ammirare, un uomo di grandi vedute politiche e di scienza più grande ancora". Del resto, Pecci non aveva esitato a mostrarsi in educato disaccordo nemmeno con Pio IX. In particolare, giudicò inopportuna l'adesione nel 1848 alla causa italiana e altrettanto inopportuno il successivo disimpegno, non manifestò la sua convinzione piena circa la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione. Riguardo al Sillabo (l'elenco di 80 proposizioni con cui nel 1864 Pio IX condannava liberalismo, ateismo, comunismo, socialismo, indifferentismo, nazionalismo, razionalismo e matrimonio civile) aveva sostenuto che le varie proposizioni potevano essere interpretate correttamente non in modo assoluto ma solo se inserite in quel preciso contesto storico. Infine, durante il Concilio Vaticano I del 1870, assunse una posizione di equilibrio tra le correnti ultramontane e il gruppo degli antinfallibilisti: pur riconoscendo e votando per l'infallibilità papale, riteneva necessario riconoscere maggiore dignità e autorità al corpo episcopale.
Dopo tre decenni a Perugia, Pecci chiese al Papa di potersi trasferire. Scriveva nel 1874 al cardinale Prospero Caterini, Prefetto della Sacra Congregazione del Concilio: "Veggendo ogni giorno più deperire la mia vacillante salute, sento anche venir meno le forze a sostenere il peso di questa vasta diocesi che alla meglio ho servito da circa trent'anni". In particolare, Pecci avrebbe voluto guidare una delle piccole sedi suburbicarie. Visto che le sue richieste non avevano risposta, nel 1877, scrivendo al cardinale Giovanni Simeoni, nominato Segretario di Stato dopo la morte del cardinale Antonelli, chiedeva che il Papa potesse avere "in qualche considerazione" la sua persona "dopo 32 anni di esercizio episcopale" e "24 nel Sacro Collegio". Egli desiderava una "posizione meno travagliosa ed un clima meno aspro specialmente nei mesi invernali" e chiedeva di essere trasferito a Roma, nel caso mantenendo la guida della diocesi di Perugia, che sarebbe stata affidata ad un vescovo ausiliare. Pio IX, per intercessione di Simeoni, alla fine acconsentì, nominando nel 1877 vescovo ausiliare il provicario generale Carlo Laurenzi, poi cardinale, e autorizzando Pecci a trasferirsi a Roma. Alla morte del cardinale Filippo De Angelis, Pio IX lo nominò anche Camerlengo.

Il 26 febbraio 1896 Leone XIII veniva filmato dai Fratelli Lumière, ma quel filmato è oggi perduto. Nel 1898 usciva invece Sua Santità Leone XIII, in cui il regista americano William Kennedy Laurie Dickson immortalava il Papa, all'epoca 88enne, mentre impartiva la benedizione apostolica

Pio IX morì a Roma il 7 febbraio 1878 alle 5:40, mentre recitava il Rosario: colpito da una crisi epilettica, il Pontefice ebbe un attacco di cuore. Il Papa si spegneva a 85 anni e dopo oltre 31 di pontificato, una durata che ancora oggi rimane ineguagliata.
Il 19 febbraio si apriva alla presenza di 61 cardinali (con 3 assenti) il Conclave nella Cappella Sistina, ufficialmente appartenente allo Stato italiano: Vincenzo Pecci, in qualità di Camerlengo, pronunciò l'atto di morte del Papa, sigillò l'appartamento pontificio e prese in carico l'amministrazione temporanea dei beni della Chiesa. Il primo motivo di dibattito era se proseguire la linea di chiusura di Pio IX, che non aveva in alcun modo riconosciuto il Regno d'Italia né accettato la Legge delle Guarentigie (che nel 1871 aveva unilateralmente stabilito i rapporti tra Stato e Chiesa), oppure se scegliere un Papa più liberale in vista di una riconciliazione nazionale. Inoltre, il Concilio Vaticano I era stato interrotto sine die dopo la presa di Roma di quasi 8 anni prima (non verrà più riconvocato e resterà formalmente aperto per oltre 90 anni fino al 1962, quando verrà chiuso da Giovanni XXIII prima di aprire il Concilio Vaticano II) e le divisioni interne della Chiesa a seguito della proclamazione del dogma dell'infallibilità papale.
Alcuni cardinali, come l'arcivescovo di Westminster Henry Edward Manning, avevano proposto di svolgere il Conclave fuori da Roma e dall'Italia, considerata non più cattolica dopo la caduta dello Stato Pontificio. Fu uno dei rari casi in cui nessuna potenza europea si avvalse del diritto di veto.
In realtà, l'imperatore Francesco Giuseppe non si disse favorevole alla candidatura del polacco Mieczyslaw Halka Ledochowski, arcivescovo di Gniezno e Poznan, e del teologo gesuita Joannes-Baptist Franzelin, benché fosse anch'egli austriaco. Prima del Conclave si tenne un incontro privato nell'appartamento dell'anziano cardinale Domenico Bartolini con altri 5 porporati di spicco, in cui venne concordata la candidatura di Pecci come prima scelta, o comunque su un altro italiano. L'inglese Manning si adoperò per convincere anche i cardinali stranieri a puntare su Pecci.
Al primo scrutinio, Vincenzo Pecci ricevette 19 voti (sui 40 necessari all'elezione), seguito dal Penitenziere Maggiore Luigi Maria Bilio con 6. Nel secondo scrutinio Pecci sfiorò l'elezione, arrivando a 38 voti. A nulla servì un tentativo in extremis di candidatura del Prefetto di Propaganda Fide Alessandro Franchi: al 3° scrutinio, il 20 febbraio 1878, Vincenzo Gioacchino Pecci ricevette 44 voti e venne eletto Papa. Assunse il nome di Leone XIII in ricordo di Leone XII, che lo aveva aiutato nei primi anni della sua carriera ecclesiastica e che aveva sempre ammirato per l'interesse dimostrato negli studi e per l'atteggiamento conciliante nei rapporti con i Governi. Il nuovo Papa aveva 68 anni, età già avanzata per l'epoca, e la sua salute cagionevole lasciava presagire un pontificato di transizione. Leone XIII venne incoronato nella Cappella Sistina il 3 marzo.
Il pontificato di Leone XIII si inseriva in un'epoca di progressiva laicizzazione della società, con una serie di tensioni fra la Santa Sede e i Governi. Il Papa cercò di mediare tra le istanze legate alla modernità e la posizione intransigente presa dal suo predecessore Pio IX, anche se mantenne la ferma opposizione del predecessore al Regno d'Italia e il Non expedit, che impediva la partecipazione dei cattolici alle elezioni e, in generale, alla vita politica dello Stato.
Quando il Governo propose di erigare un monumento a Giordano Bruno in Roma, Leone XIII si oppose. In risposta, nel 1888 gli studenti romani manifestarono a favore del monumento, repressi dalla polizia con scontri e arresti fino alla chiusura dell'Università di Roma. Infine, con l'approvazione del premier Francesco Crispi, il Comune scelse di erigerlo a Campo de' Fiori. La statua venne inaugurata il 9 giugno 1889 e fu un evento di portata europea: i sentimenti a favore della libertà scientifica e contro l'oscurantismo religioso venivano espressi in una imponente manifestazione. L'oratore ufficiale, Giovanni Bovio, disse che il Papa soffriva più le celebrazioni di quella giornata che la perdita dello Stato della Chiesa. In effetti Leone XIII, rinunciando a lasciare Roma come aveva minacciato, rimase tutto il giorno in digiuno e in raccoglimento davanti alla statua di San Pietro quindi il 30 giugno 1889 pronunciò una solenne allocuzione di condanna e di protesta per l'oltraggio che affermava di avere subito, denunciando la "lotta a oltranza contro la religione cattolica" da parte di un mondo moderno ostile alla Chiesa e a Dio. Quanto a Bruno, l'allocuzione papale confermava in pieno la legittimità della condanna e del rogo: "Non possedeva un sapere scientifico rilevante" mentre aveva avuto "stravaganze di debolezza e corruzione". 
In Germania, con una serie di concessioni a Bismarck Leone XIII seppe porre termine al Kulturkampf, ossia alla battaglia tra Stato e Chiesa sul monopolio dell'educazione, con un Concordato simile a quello poi adottato con l'Italia, opponendosi anche al Partito cattolico tedesco, lo Zentrumspartei. Anche in Francia, suscitando il malcontento dei settori più conservatori, invitò i cattolici al rappacificamento con la Terza Repubblica, malgrado quest'ultima, governata da maggioranze radicali e anticlericali, avviasse un programma di progressiva secolarizzazione delle istituzioni, a iniziare dal settore scolastico, evoluzione che sfocierà nel 1905 nella separazione tra Stato e Chiesa. La statura internazionale del Papa, pur non raggiungendo il livello di coinvolgimento politico e di influenza a cui Leone XIII mirava, si accrebbe anche grazie alla mediazione che egli svolse sia nel conflitto delle Isole Caroline tra Germania e Spagna sia per la guerra ispano-americana del 1898, con cui gli statunitensi cacciarono gli spagnoli da Cuba.
Leone XIII è però ricordato per l'importanza che diede al cattolicesimo applicato al sociale. Nella sua enciclica Immortale Dei del 1885 affrontò il problema del ruolo dei cattolici negli stati moderni, negando il conflitto tra scienza e religione nell'Aeterni Patris del 1879. La sua enciclica Rerum Novarum, pubblicata nel 1891, è considerata il testo fondativo della moderna dottrina sociale cristiana: affronta il problema dei diritti e dei doveri del capitale e del lavoro, cercando di mediare tra le posizioni di orientamento socialista e rivoluzionario e quelle proprie del liberismo economico di impronta capitalista, inaugurando una riflessione sui problemi del lavoro nel mondo moderno successivamente ripresa e approfondita nel 1931 dalla Quadragesimo Anno del papa Pio XI, dalla Mater et Magistra di Giovanni XXIII del 1961, dalla Populorum progressio di Paolo VI del 1967 e dalla Centesimus Annus di Giovanni Paolo II (1991).
Punto centrale del pensiero di Leone XIII si schiera era la collaborazione fra le classi: "Come nel corpo umano le diverse membra s'integrano fra loro e determinano quelle relazioni armoniose che giustamente viene chiamata simmetria, allo stesso modo la natura esige che nella società le classi s'integrino fra loro realizzando, con la loro collaborazione mutua, un giusto equilibrio". Per la prima volta, la Chiesa prendeva posizione sulla questione del lavoro: "Principalissimo poi tra questi doveri è dare a ciascuno il giusto salario. Il determinarlo secondo giustizia dipende da molte considerazioni, ma in generale si ricordino i datori di lavoro che le leggi umane non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare poi il dovuto salario è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio".
Nel 1884, poi, Leone XIII avrebbe anche avuto una visione mistica, dalla quale sarebbe stato molto impressionato. La mattina del 13 ottobre, durante una celebrazione nella Cappella Paolina, assunse un atteggiamento fuori dal comune: sembrò improvvisamente immobilizzato per qualche minuto, dopo di che, con aspetto provato, rientrò prontamente nel suo studio. I presenti lo temettero vittima di un malore, ma poco dopo egli convocò il responsabile della Congregazione dei Riti e, affidandogli il manoscritto di una preghiera appena composta, ne decretò l'inserimento nel Rituale Romano. La preghiera è una elaborata invocazione all'Arcangelo Michele in difesa di una qualche azione incombente del Diavolo. 
Il Papa racconterà poi ai suoi collaboratori di aver visto una terrificante fuoriuscita di demoni dalla superficie terrestre spaccata, i quali, dopo aver procurato numerosi disastri, giungevano alle soglie della Basilica di San Pietro provocandone quasi il crollo. A fermare la loro malefica impresa, era disceso l'Arcangelo Michele che aveva sconfitto la schiera infernale. Di seguito aveva udito voci soprannaturali che preludevano l'avverarsi della minaccia entro un periodo temporale equivalente a qualche altro pontificato. Il pericolo sarebbe stato rappresentato sia dalla nazione russa che da un'aggressione contro la Chiesa, allo scopo di testarne fede e tenuta, operata da Satana, a cui Dio concedeva un secolo di libertà di azione.
Sebbene sia inconsueto nella cronaca dei pontificati questo tipo di visioni, l'episodio è in sintonia con un apocalittico respiro religioso che aleggiava all'epoca, favorito anche da alcune apparizioni mariane. Infatti, già all'inizio del suo pontificato gli era stata recapitata una lettera di Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes, che induceva presentimenti inquietanti, ritrovata negli archivi vaticani nel 1997, ma sulla cui autenticità persistono dubbi. Leone XIII scrisse anche un'apposita preghiera, di cui prescrisse la recita in ginocchio al termine di ogni messa e in ogni comunità ecclesiale del mondo. Dal 1884, data della visione, il Papa si mostrò anche più comprensivo verso l'Italia e rinnovò gli sforzi per migliorare le condizioni economico-sociali delle categorie lavoratrici più umili.
Leone XIII, nonostante l'età avanzata, si dimostrò anche un personaggio molto differente dai Papi precedenti. Anche dopo avere raggiunto e superato i 90 anni, continuava lo studio del latino, che padroneggiava con competenza ed eleganza, come dimostra il pregio letterario di impronta classicista delle sue encicliche. In latino scriveva anche alcune liriche, essenzialmente in distico: visto che soffriva d'insonnia, alzava di notte per mettersi alla scrivania e scrivere di getto alcuni versi. Leone XIII era inoltre un appassionato dantista, con una conoscenza mnemonica accurata e puntuale della Divina Commedia e un assiduo lettore di giornali e riviste, soprattutto di area francofona, abitudine acquisita nel corso del suo mandato di nunzio in Belgio.
Anche alla popolazione giungeva notizie del suo stile di vita semplice e frugale e pian piano entrò in simpatia alla gente, come mai era capitato prima per un Papa. Dormiva poco, si alzava prima delle 6 e, dopo il lavoro, compiva lunghe passeggiate nei Giardini Vaticani. Nel tempo libero cacciava uccelli vicino a un roccolo fatto piantare su sua specifica richiesta, retaggio della sua passione giovanile per la caccia: quando però riusciva a far cadere qualche esemplare in trappola, li liberava, li accarezzava e li lasciava volar via. Altrettanto faceva con le tortore che gli venivano offerte dai fedeli come simbolo nelle funzioni di beatificazione e di canonizzazione. Rifiutava anche di servirsi di stufe o caloriferi nei propri appartamenti, tenendo soltanto un braciere in mezzo alla camera da letto, uso tipico delle campagne laziali. Solo negli ultimi anni di vita, cedendo all'insistenza dell'archiatra acconsentì a dotare il Palazzo Apostolico di moderni sistemi di riscaldamento.
Leone XIII era inoltre molto parco di cibo e bevande: il suo regime nutritivo era basato su caffè, latte vaccino e caprino proveniente da Carpineto Romano, suo paese natale, qualche tazzina di brodo ristretto, tuorli d'uovo sbattuti con un po' di marsala, poca frutta, un'aletta di pollo al mattino e un mezzo petto alla sera. A ogni pasto accompagnava due dita di vino di Bordeaux fornitogli appositamente da un convento della Borgogna.
Tra i suoi pochi vizi c'erano il tabacco da fiuto, che non assumeva mai in presenza di estranei, e il vino Mariani: saputolo, la ditta chiese di poter utilizzare la sua effigie come testimonial e il Papa incredibilmente acconsentì, diventandone il primo della storia. Il vino Mariani assunse la fama di bevanda medicinale, ma verrà poi tolto dal commercio quando si prese coscienza che veniva preparato anche con foglie di coca, di cui si conoscevano i rischi. Il vino Mariani verrà poi bevuto anche da Pio X, vari Re, politici e nobili, dallo zar di Russia al principe di Galles, passando per il Presidente statunitense William McKinley, Émile Zola e il musicista Charles Gounod.
Leone XIII, nonostante fosse cagionevole di salute, raggiunse un'età molto rara per l'epoca. Anche in età avanzata la sua memoria rimase straordinariamente lucida: ricordava tutti i più piccoli incidenti della sua vita giovanile e dell'adolescenza e le letture fatte sia di recente che nel più lontano passato. Quando dovette servirsi di un bastone da passeggio, se scorgeva da lontano una persona estranea alla famiglia pontificia, faceva ogni sforzo per camminare senza il suo aiuto, facendolo passare con disinvoltura da una mano all'altra.
Leone XIII fu anche il primo Papa ad essere filmato e audioregistrato. Nel 1898, dinnanzi alla cinepresa di William Dickson, impartì la prima benedizione "mediatica" nella storia della Santa Sede; nel secondo, pochi mesi prima di morire, il 5 febbraio 1903, la sua voce venne incisa su un cilindro fonografico mentre declamava l'Ave Maria in latino e la formula di benedizione apostolica.
La notevole longevità del Papa risultò sorprendente per il tempo: al momento della sua elezione egli era infatti apparso anziano, stanco e malaticcio, in particolare per un tremore alla mano derivato da un salasso fatto male. Leone XIII stesso, ironizzando sulla propria infermità, aveva confidato a stretto giro ai propri collaboratori di presagire una breve durata del proprio ministero e la necessità di allestire un nuovo Conclave in breve. Man mano che gli anni passavano, invece, la battuta tra i cardinali fu: "Credevamo di eleggere un Santo Padre, abbiamo eletto un Padre Eterno".
La sua salute però, superati i 90 anni, iniziò a declinare. Rimane celebre la cronaca dei suoi ultimi giorni fatta dalla Domenica del Corriere del 26 luglio 1903: "La storia ricorderà a lungo la lotta che il Pontefice sostenne con la morte, quantunque tutti prevedessero che in causa della tarda, eccezionale età egli non potesse giacere a lungo malato. Dal 5 luglio i fedeli s'attendevano ogni mattina l'annuncio del decesso. I romani accorrevano in piazza San Pietro per osservare la finestra della camera da letto e trarre oroscopi dalla durata del tempo che rimaneva aperta per il cambio d'aria, ma ognuno apprendeva tosto con lieto stupore che l'illustre infermo aveva ricevuto i suoi cardinali, s'era occupato delle faccende relative al governo della Chiesa, era passato dal letto su la poltrona e persino aveva all'indomani dell'estrema unzione corretto le bozze della sua ultima poesia in latino. Con l'ostinazione dei fanciulli e dei vecchi vigorosi, Leone XIII si è spesso ribellato alle ingiunzioni dei suoi medici, a dir la verità senza immediato suo danno".
Dopo una lunghissima agonia Leone XIII morì il 20 luglio 1903 alle 16, a 93 anni, dopo 25 anni, 5 mesi e 5 giorni di pontificato. Era il secondo più lungo della storia, dopo il suo immediato predecessore, che era arrivato a oltre 31 anni. 
Leone XIII è ancora oggi il Papa più anziano in carica al momento della morte e ha detenuto per 117 anni il primato di Pontefice più longevo della storia, record che venne poi superato nel 2020 dal Papa emerito Benedetto XVI, morto il 31 dicembre 2022 a 95 anni.
Il 4 agosto 1903 venne eletto come suo successore il cardinale Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia, che prenderà il nome di Pio X.

Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, è il 267° Papa dall'8 maggio. È il primo statunitense e agostiniano della storia e per la scelta del nome Leone ha fatto esplicito riferimento all'opera e agli scritti di Leone XIII

Il 10 maggio, incontrando i cardinali nell'Aula del Sìnodo, Robert Francis Prevost ha così spiegato la scelta di chiamarsi Leone XIV: "Si tratta di princìpi del Vangelo che da sempre animano e ispirano la vita e l'opera della Famiglia di Dio, di valori attraverso i quali il volto misericordioso del Padre si è rivelato e continua a rivelarsi nel Figlio fatto uomo, speranza ultima di chiunque cerchi con animo sincero la verità, la giustizia, la pace e la fraternità. Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica enciclica Rerum Novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un'altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell'intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro".

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